Nel luglio del 2010 ero a Oxford per il mio primo TED. Il TED è quel concentrato esplosivo di idee e discorsi su scienza, tecnologia e ottimismo tenuti assieme dal fatto che è evidente che, anche senza volerlo, stiamo costruendo un mondo migliore. Quando esci da lì ti sembra di avere le ali. Tra gli speaker quell’anno c’era un italiano che non avevo mai sentito nominare: Stefano Mancuso, professore di neurobiologia a Firenze, che in tredici minuti fece un discorso spettacolare sull’intelligenza delle piante (qui il video).

Quando scese dal palco mi spiegò che in fondo Internet funziona proprio come una pianta, ed è per questo che funziona: non ha un quartier generale che controlla tutto, e se isoli un nodo, la rete continua a trasmettere dati. Come una pianta. Da allora non ci siamo più persi di vista. Lui ha continuato a fare ricerche bellissime che lo hanno portato, un anno fa, a curare una parte della profetica mostra andata in scena alla Triennale di Milano, Broken Nature; una mostra che era un appello a cambiare modo di vivere per sopravvivere sul pianeta Terra.

Ieri pomeriggio Stefano Mancuso l’ho ascoltato rapito su YouTube e su Repubblica per una lezione dedicata dagli studenti che faranno la maturità. La sua visione delle piante la conoscevo, ma la quarantena che stiamo vivendo ha aggiunto forse il capitolo più interessante: perché quel capitolo parla di noi adesso. Sì certo, le piante, e la natura in genere, stanno meglio se noi stiamo a casa e non inquiniamo, ma non è questo il punto, né l’obiettivo. Il punto, ha spiegato il prof, è che la quarantena ci sta facendo vivere come fossimo delle piante.

La differenze principale fra un animale e un vegetale, infatti, è il movimento: gli animali sono “animati” e vanno in cerca del cibo per avere energia; le piante sono ferme e cercano nel terreno dove sono le risorse per crescere. “La quarantena ci ha trasformato in piante” ha detto Mancuso sapendo di muoversi sul filo del paradosso. Ma non era un virtuosismo: come le piante, ha aggiunto, adesso siamo più attenti allo spazio che abitiamo, le nostre case sono più curate, abbiamo scoperto angoli che non sapevamo ci fossero, e riscoperto oggetti perduti. E poi, non sprechiamo più cibo, o ne sprechiamo molto meno del 50 per cento che ci attribuiscono le statistiche. Come le piante abbiamo moltiplicato gli strumenti della comunicazione: non potendoci muovere, abbiamo bisogno di essere connessi sempre. Per questo stiamo sempre sui social o in video telefonate.

Può sembrare una rivoluzione positiva, e in parte lo è. Ma Mancuso, che pure ama le piante evidentemente, non si nasconde il prezzo che stiamo pagando per questa trasformazione. Noi umani siamo animali sociali, ha detto, abbiamo bisogno degli altri per stare bene, abbiamo bisogno di vederli, toccarli, ascoltarli. “La creatività della nostra mente ha una origine sociale”. Mentre parlava mi è tornato in mente un altro speaker di quel favoloso TED di Oxford: Steven Berlin Johnson. Un giornalista americano che venne a farci un discorso sul tema “Where good ideas come from, dove nascono le buone idee”. E la morale è che le buone idee, le grandi idee, quelle che cambiano il mondo e che nel frattempo ci fanno stare bene, nascono dal contatto con gli altri.

Ci avete fatto caso che quando nacque Internet, o meglio il web, negli anni ‘90, tutti predissero che finalmente avremmo potuto vivere isolati sul cucuzzolo di una montagna connessi alla rete, e che le grandi città sarebbero sparite? Ecco, è accaduto esattamente il contrario. E non per caso, ma per una ragione precisa. Questa. Perché la rete è un formidabile strumento per stare connessi se non ci si può incontrare, per informarsi all’infinito, per comunicare, ma per essere felici abbiamo bisogno degli altri. Il digitale senza la parte fisica non basta. Non per sempre. Perché senza gli altri siamo ogni giorno che passa infinitamente più poveri, di idee. Perché non siamo piante.

Ma quando finalmente usciremo “a riveder le stelle”, sapremo ricordarci delle cose positive di questa quarantena? Riprenderemo a sfruttare il pianeta o avremo la forza di costruire quel famoso mondo migliore di cui parliamo sempre?

Fonte: Repubblica