Dopo la pandemia gli studenti chiedono di non essere giudicati coi numeri, i pedagogisti concordano. E aumentano gli istituti superiori che tentano una valutazione diversa: al posto dei punteggi i consigli per migliorare e l’autovalutazione dei ragazzi.

Al liceo civico Manzoni di Milano i ragazzi hanno interrotto in anticipo l’occupazione. Ma hanno avanzato alcune richieste tra cui quella di avere dai prof una spiegazione dei voti che prendono e, poi, di evitare l’1 nelle verifiche che vanno male. Al liceo artistico di Bologna gli occupanti hanno proposto di far partire una classe sperimentale senza i giudizi coi “numeri”. La generazione piegata dai danni causati dal Covid reclama una scuola senza voti. Una spinta che viene dai banchi, stavolta. E che sempre più presidi stanno accogliendo. Pedagogisti favorevoli, e non da ora, professori poco convinti, se non contrari. Il dibattito è aperto.

La sperimentazione al Morgagni

Pioniere, sette anni fa, è stato il liceo Morgagni di Roma, che ora ha un’intera sezione che ha eliminato i voti. L’idea è del professore di matematica Enzo Arte: “Volevamo una scuola dove non ci fosse il ricatto del voto per far studiare i ragazzi”. Il bilancio è positivo a giudicare dai risultati all’università dei diplomati che non hanno conosciuto i 4 e i 9. Il gruppo del pedagogista Guido Benvenuto della Sapienza segue la sperimentazione con il docente di Psicologia sociale Stefano Livi. “Quello che viene eliminato non è la fatica dello studio, ma la fatica inutile e cioè l’ansia provocata dai voti”. Dunque i giudizi sono descrittivi e si usa l’autovalutazione. “Serve a far prendere coscienza di quello che stanno facendo. Fanno i furbi? Difficile. Ma se poi vedo che la loro descrizione non corrisponde a ciò che penso io li chiamo a un colloquio, la vecchia interrogazione” racconta Arte. Dietro c’è un altro modo di insegnare che comprende al primo anno, per fare gruppo, una gita di quattro giorni senza cellulare nella natura e metodi didattici che puntano al coinvolgimento. “Escono più motivati nello studio dopo aver fatto cinque anni rilassati”. E non è poco.

La scuola senza voti contagia

“Valgo 5 o valgo 8: questo tipo di approccio diventa deleterio soprattutto per i più fragili”, dice Erasmo Modica, docente di Matematica al liceo Cannizzaro di Palermo dove la sperimentazione in una classe partirà a settembre. Il progetto coinvolgerà anche l’Alberghiero Piazza.

Insomma, la scuola senza voto contagia. Almeno una decina di istituti in Italia sta adottando il metodo. Il disagio psicologico in aumento degli adolescenti dopo due anni di lockdown ha accelerato il cambiamento. Al liceo Peano di Roma a settembre partiranno tre sezioni alle Scienze applicate. “Indispensabile sarà avere il consenso dei genitori” spiega il preside Gianluca Consoli. Quello degli studenti c’è già. “E’ una richiesta che viene dal basso, i ragazzi hanno un disagio tale per cui bisogna modificare tutti gli aspetti arcaici della scuola, e il voto lo è. Al di là dello slogan, scuola senza voti, è ovvio che la rivoluzione è complessiva e prima di tutto parte dalla relazione tra docenti e ragazzi e ragazze. Da cambiare. I professori ci seguono? Io dirigo una scuola all’avanguardia sin dagli anni Settanta quindi una parte importante di loro ha aderito al progetto. Poi c’è una resistenza altrettanto forte un po’ in tutte le scuole. L’obiezione? La serietà della scuola è legata al voto, viene detto. Si tratta di un movimento tradizionalista che vede questa sperimentazione come un altro tassello verso la degenerazione. I dati scientifici dicono invece che questa visione è anacronistica. Inoltre il disagio dei ragazzi dopo la pandemia è talmente notevole e impressionante per cui bisogna assolutamente intervenire per salvare questa generazione e farla maturare nell’abilità e nelle competenze senza perderla”.

Al Cecchi di Pesaro non si boccia nel biennio

Nessuno pensa che basti togliere solo i voti, dietro c’è un lavoro che mette in gioco i professori nel costruire una nuova didattica. Ha eliminato i voti per un quadrimestre il liceo Giordano Bruno di Mestre, mentre dal prossimo anno l’istituto professionale Agrario Cecchi di Pesaro si spingerà oltre: via i voti e pure le bocciature nel biennio. “Siamo partiti da una constatazione: i ragazzi che arrivano al professionale si aspettano di imparare un mestiere invece si ritrovano a dover studiare matematica, italiano, storia nei primi due anni. Chi fa fatica nello studio teorico crolla, fa subito i conti con la frustrazione. E te lo ritrovi in strada – osserva il preside Riccardo Rossini – la rivoluzione copernicana è cambiare il punto di osservazione: mi importa come stai e cosa sai. Dunque via i numeri nella verifica, la correggiamo insieme, e al primo anno tutti promossi. Così non studiano? Al contrario, a nessuno di loro piace essere quello che non sa, se mi limito a dare loro un 4 il messaggio che mando è che non ho fiducia in loro. E li perdo. Certo, insieme devi cambiare anche tutto il modo di insegnare, non possiamo continuare a fare scuola come 20-30 anni fa. Non è cosa da poco. I professori sono un po’ preoccupati, vedremo come va”.

I docenti frenano

I docenti, per comodità o convinzione, sono quelli che frenano di più in questa rivoluzione nella valutazione. “Non a breve, ma ci arriveremo a che questo modo di insegnare sia condiviso” è il parere di Antonella Accardi Benedettini, dirigente delliceo Passoni di Torino. “Credo che il voto generi ansie da prestazione, per questo andrebbe eliminato, tanto più ora che i ragazzi esprimono il disagio che stanno vivendo”. I contrari ne fanno una questione di merito, il ministero all’Istruzione ora è anche al Merito. Scuote la testa Raffaele Mantegazza, professore di Pedagogia a Milano Bicocca: “C’è un problema di lettura di cosa deve essere la scuola se solidale e cooperativa o competitiva. Un bene che i ragazzi abbiano trovato la forza di chiedere una scuola senza voti, vanno ascoltati”.

“Sperimentiamo la scuola senza voti in tutte le superiori”

I pedagogisti sanno che i sistemi valutativi giudicanti sono obsoleti e dannosi. “Si scambiano i numeri con il processo di valutazione, insomma si scambia la punta dell’iceberg con l’iceberg” spiega Mantegazza che al contrario rilancia: “Sperimentiamo in tutte le scuole superiori un sistema di valutazione diverso, senza voti, e vediamo come va”. Una proposta forte. “Quello che i ragazzi stanno mettendo in discussione – dice – è che l’unico motivo per andare a scuola sia il voto. E lo fanno non solo sul piano emotivo, per ridurre l’ansia, lo stanno ponendo come richiesta seria e matura. Vogliono una scuola più facile? Non credo proprio, la difficoltà rende entusiasmante scalare la montagna, ma se la difficoltà è fine a se stessa non ha senso”.

Per arrivare a una scuola senza voti e dunque senza competizione e stress occorre però formare gli insegnanti. E pure i genitori che vogliono il figlio più bravo degli altri, “ma i voti non sono una classifica” mette in guardia il pedagogista. “Se poi arriviamo a dare un premio in denaro a chi prende nove” come accade in un istituto di Padova “crolla tutto, monetizziamo pure il merito. Mentre l’eccellenza significa che un ragazzo possa trovare la sua strada ed esserne felice”.

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