«Una scuola senza voti non è un sogno, ma un’esperienza già realizzata. Oggi è necessario ripensare l’intero modello pedagogico: un’esigenza di cambiamento sentita dai ragazzi, ma anche da molti docenti». Antonella Accardi Benedettini, attuale preside del liceo artistico Passoni di Torino, lavora da 40 anni nella scuola. Sabato sarà al Circolo dei lettori dove ha organizzato un convegno dal titolo «La scuola che vorrei», perché pensa che sia ora di aprire il dibattito. Per arrivare ad abolire i voti, ma non solo.

Perché una scuola senza voti? 
«Una scuola che riesce a motivare e ad appassionare non ne ha bisogno. Sono queste le due parole chiave: motivazione e passione, che devono riguardare tutti. Non solo i ragazzi, ma anche i docenti. Ripensare il sistema della valutazione significa cambiare approccio educativo rispetto a quello che proponiamo».

Pensa che siano inutili? 

«I voti generano ansia da prestazione. Molti studenti durante le interrogazioni non riescono a esprimere quanto imparano perché non ne vedono il senso o sentono i contenuti distanti dai loro bisogni. Ma dare un 4 non è necessario. Molto meglio per loro capire cosa non hanno capito e motivarli a imparare».

C’è chi dice che funzioni per le elementari, ma non al liceo.
«È una delle più comuni obiezioni poste dagli insegnanti. Invece io sono convinta che un approccio più empatico, di ascolto attivo e con una personalizzazione maggiore degli apprendimenti andrebbe adottato in tutti i livelli di istruzione, compresa l’università dove spesso i ragazzi si sentono un numero».

Ma come impareranno a gestire l’ansia da adulti? 
«Dobbiamo insegnare ai ragazzi la capacità del problem solving per affrontare i problemi di qualsiasi natura, con i docenti che li accompagnano nel processo di crescita. Con la frustrazione e il pensiero del giudizio legato al voto non si insegna a gestire l’ansia. Al contrario, non si fa che aumentarla».

Non c’è il rischio che studino meno? 
«Ma no, anzi. Se ben motivati studierebbero di più e meglio. Già 20 anni fa l’ho sperimentato da docente, senza ufficializzarlo, in una classe di prima media e i risultati sono stati ottimi».

Che effetto avrebbe sui più bravi? 
«I vantaggi sono per tutti. Chi ha una media altissima spesso rimane intrappolato nel doverla mantenere a tutti i costi. Succede anche che siano proprio i più bravi a sviluppare la fobia scolare, nel passaggio da un grado all’altro. Al primo voto meno alto del previsto, è già un insuccesso».

E come andrebbe valutato l’apprendimento? 
«Si dovrebbe sempre partire dal rinforzo dell’autostima, valutando gli aspetti positivi della prova e dando indicazioni precise sugli aspetti da migliorare. Si introduce poi l’autovalutazione sganciata dal voto, che favorisce il processo meta cognitivo. Alla fine dell’anno si deve comunque dare un voto, ma dopo un percorso molto più sereno».

Al liceo Morgagni di Roma si sperimenta da 7 anni. In altre scuole italiane partirà a breve. A che punto siamo a Torino? 

«Occorre formazione e un processo condiviso. Ogni cambiamento necessita di dialogo, di considerare i pro e i contro. È importante si rifletta sulla necessità di modelli educativi differenti, iniziare a discuterne».

Perché questo è il momento giusto? 
«Perché dopo il Covid i problemi sono aumentati, i ragazzi sono più fragili e demotivati. Molti abbandonano di fronte alle difficoltà, vanno in crisi con le richieste prestazionali della scuola. Chiedono un sistema diverso, ne hanno bisogno».

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